martedì 19 febbraio 2013

La meditazione nello Yoga

La meditazione è il tentativo dell'uomo di mettersi in rapporto con la dimensione trascendente ed è quindi patrimonio comune dell'intera umanità.Secondo i Veda, i più antichi testi sapienziali dell'India, ciò che impedisce all'uomo di assumere la propria autentica identità è una sua fuorviante attività conoscitiva, ossia quella funzione della mente che, invece di raggiungere l'essenza delle cose, travisa la realtà con la proliferazione incontrollata di parole e concetti. Dal dualismo mentale, dalle divisioni interiori, dalla contrapposizione tra bene e male, positivo e negativo, deriva l'alienazione dell'uomo, il senso di vuoto, l'angoscia e la paura. La meditazione conduce a sviluppare uno stato di coscienza diverso da quello dell'uomo ordinario, che è continuamente preda delle sollecitazioni sensoriali e dei contenuti mentali con i quali erroneamente si identifica, e ritrovare il proprio vero sé, sospendendo le attività mentali falsificanti. Scopo della meditazione è quindi il riconoscimento, lo svelamento di questo io più profondo (atman) che consente di sperimentare direttamente la realtà dell'Assoluto, del Divino (Brahaman). 
L'assorbimento meditativo è in grado di trascendere lo stato normale di coscienza, che è in realtà uno stato offuscato di conoscenza, determinando così la liberazione dalle false identificazioni. 
Per raggiungere tale assorbimento, che possiamo definire uno stato di non pensiero, è necessario appunto arrestare l'attività mentale, cioè l'insieme della nostra attività intellettuale, psichica e percettiva. Quali mezzi ci portano a tale risultato? La grande quantità di tradizioni, scuole, maestri fioriti in un territorio vasto come l'India (culla dello Yoga) fa sì che le vie siano molteplici e differenti: sicuramente la meditazione tantrica è tecnicamente diversa da quella nel Kriya yoga, gli aghora usano tecniche differenti rispetto ai raja yogi, ai bakta yogi e così via. I punti fermi che accomunano le diverse scuole sono essenzialmente due: Tapa e l'obiettivo finale. Tapa è la disciplina verso una data tradizione, verso la propria pratica e, secondo alcune vie, anche l'abbandono totale al divino. L'obiettivo finale è l'uscita dal Samsara (ciclo delle reincarnazioni) e quindi il ricongiungimento (o riconoscimento) dell’anima individuale con l'Anima Universale.
Patanjali
Analizzare singolarmente i percorsi di tutte le tradizioni non è ovviamente possibile in un articolo, descriveremo perciò la meditazione per come la propone il saggio Patanjali che nel testo “Yoga sutra”, riconosciuto da quasi tutte le scuole, fece il primo tentativo di riassumere secoli di insegnamenti yoga, codificandoli in un percorso. Proprio dall'analisi di questo percorso risulta evidente la peculiarità del punto di vista dello yoga: per raggiungere lo stato di meditazione non sono sufficienti buona volontà, determinazione e consapevolezza ma è necessaria una organizzazione tecnico-scientifica, un metodo che assicuri la soppressione delle modificazioni mentali. Il cammino parte da alcune indicazioni morali (yama) e disciplinari (niyama) che hanno lo scopo di limitare le cause di agitazione mentale e permettere al praticante di uscire dal caos della vita ordinaria. 
Attraverso pratiche di stimolazione e riequilibrio energetico che partono dal corpo (asana e pranayama) e per mezzo del controllo dell'attività sensoriale, si giunge ad uno stato di quiete e di serena concentrazione (pratyahara). 
Questo stato di acquietamento del mentale è la premessa indispensabile all'esperienza della meditazione vera e propria, la quale viene raggiunta attraverso tre stadi: la concentrazione su un determinato oggetto (dharana), il flusso ininterrotto della mente verso l'oggetto di meditazione (dhyana), sino al totale assorbimento ed alla perdita di coscienza di sé (samadhi). Proprio questa perdita di coscienza di sé ci riporta ad una condizione assolutamente naturale, da cui ci siamo allontanati per la pur necessaria costruzione di un'individualità e di un patrimonio culturale. In questo stato di "non sé", l'universo rivelerà poco a poco gli strati, le dimensioni di cui è costituito; si potrà scoprire, dietro la facciata del mondo fenomenico, altri piani di realtà che è possibile penetrare scendendo a maggiori profondità rispetto ai contenuti sensoriali e mentali. Un percorso così articolato e che si pone mete tanto elevate, rischia sicuramente di spaventare il neofita che può avere la sensazione di un'avventura senza fine. In effetti il cammino dello yoga è una ricerca che si dice durare più vite ma, anche nel nostro quotidiano, ogni singola esperienza (o tentativo ) di meditazione è un passo che noi compiamo per avvicinarci alla nostra natura profonda. Vale quindi di per sé la pena di essere compiuto in quanto, da ognuna di queste esperienze, attingiamo l'energia e la consapevolezza che ci portano a ritrovare la nostra autentica natura ed integrità. 

Chiara e Carlo

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